sabato 18 febbraio 2017

BOOKTRAILERS poeti emergenti

MARIA TERESA TEDDE

COM'ERA BELLA MARIA


Il brano pianistico originale, composto da Mariangela
Ungaro, 


"Il mito di Marpessa" 


sonorizza le parole della poetessa
Maria Teresa Tedde, 


intrise di sublime nostalgia.





Per terra le arance

sotto l’albero tormentato di maestrale

per terra come i suoi baci

a serenare sotto le stelle

sotto il sole, sotto piedi indifferenti

e la paura dentro.


Com’era bella Maria

coi suoi capelli al vento

ed i suoi sogni in tasca.


Con le sue mani

li animava di speranza e di fiducia.


Com’era bella Maria

quando sorrideva:

sapeva di miracolo

di odor di gelsomino

di pelle di bambino

e offriva il cuore

a rondini lontane.












MARGHERITA BONFILIO


ADESSO BASTA



Una poesia di Margherita Bonfilio contro la violenza sulle donne. 


Musica originale di Mariangela Ungaro. 


Si ringrazia il fotografo Vieri Bottazzini per le immagini paesaggistiche.







Adesso basta!

Non voglio più sentire la tua mano




che con ferocia colpisce il mio viso,

l’alito pungente che soffoca ogni mia speranza,

la violenza con cui mi sbatti contro il muro.

Non voglio più sentirmi una nullità,

umiliata, schernita, posseduta senza amore.

Anima sfregiata che grida il suo bisogno di riscatto,

desiderosa di rinascita e di un nuovo domani.

Voglio poter camminare a testa alta,

senza la paura di tornare a casa

ed ascoltare i tuoi passi dietro la porta

che si fanno pesanti, incalzanti, schiaccianti.

Niente più catene e legami malati.

Spogliata di me stessa cammino sulla battigia,

assaporo la frescura della sabbia bagnata sotto i piedi,

mi inebrio del profumo salmastro della risacca,

alzo gli occhi al cielo

e grido con quanto fiato ho in gola

Io esisto!!

Corro libera dalle catene di un amore malato

verso un nuovo futuro.

Il mio!





   






GIUSEPPE LECCARDI

LUCCIOLE


"Grazie infinite Mariangela per le immagini scelte e la tua meravigliosa musica.


Un effetto sorprendente, un mix di emozioni, suggestioni e ricordi. 


Un"Cantico" celebrativo della natura e della vita che fluisce ininterrotta di padre in figlio, fino ai nipoti e pronipoti con un alone di magico stupore che le lucciole sanno aggiungere. 


Il risultato è un formidabile inno alla natura e alla vita."






Mini lanterne magiche oscillanti



nel vento tiepido di maggio,



compagne dei giochi infantili.



Piccole stelle cadute,



briciole vive di comete sparse



fra gli orti, i fontanili e i campi.



Il vostro incerto volo mi commuove.





Segnali luminosi, lampeggianti



sulla corsia di sorpasso



ai nostri innumerevoli pensieri.



Luci di posizione d’invisibili alianti



occhi accesi, danzanti,



fari che frugano la notte



alla ricerca dei perduti sogni.





Festose luminarie naturali



d’un Natale fuori stagione;



insegne intermittenti, misteriose,



di antiche feste e agresti rituali.





Residui di silenti fuochi artificiali.



Luci d’un circo di periferia



sotto il nero tendone della notte,



ricco di pagliacci, saltimbanchi,



giocolieri e uomini volanti.







Un mondo vivo nella memoria



d’un bimbo che vi inseguì correndo



dietro le vostre zigzaganti rotte



convinto che la vita fosse



un eterno gioco.




ADA CRIPPA

SONO


Poesia di Ada Crippa
"Sono" 


Montaggio video: Mariangela Ungaro 


Musica originale "AFORISMA DI FUGA" di Mariangela Ungaro





Sono una goccia che in uno stagno cade



e che solo per un attimo, le acque ferme - smuove.





Sono la pioggia che cade nel mare



il mare che batte lo scoglio.





Sono lo scoglio che arresta il vento



il vento che s’ingremba nell’onda





Sono l’onda che disseta la riva



la riva che s’allunga nel sole.





Sono il sole che scalda la terra



la terra che contiene la zolla.





Sono la zolla che attende l’aratro



l’aratro che invita la mano.





Sono la mano che stringe la tua



perché dunque io - t’amo.



Io t’amo è so d’esser nulla:



nel passato, nel futuro - nulla.





Sono un frammento di luce dispersa



nel tempo che vivo.





Sono un nugolo di polvere mischiata con l’acqua



l’acqua che bevo e che nutro





Sono un soffio - nell’universo infinito.





Sono il respiro della luna che passa silenziosa



un uccello che scava col becco la sua dimora.





Sono una foglia scritta nel tempo



la stagione che si consuma



sono la notte che scende furtiva



il buio che intana e fa paura



sono dunque - la morte?





Sono prima - la vita

 



IZABELLA TERESA KOSTKA 

A TE


Poesia selezionata e pubblicata sull'antologia "Parole d'Amore"
Premio San Valentino, Anvos e Accademia dei Bronzi
Ursini Edizioni 2017 


MUSICA ORIGINALE e montaggio video di MARIANGELA UNGARO





Dimmi che mi vorrai ancora,



quando voleranno lontano gli ultimi aironi



e la sposa - magnolia cesserà di fiorire,



moriranno raccolte le spighe di grano



e i salici svestiti piangeranno dal gelo.





Al di là della nostra estate,



sfregiata di notte con folle arsura



soppressa ingenua dall'odore d'autunno,



spoglia d'affetto come rami degli alberi,



solitari guardiani dell'abbandono.





Sussurra che mi cercherai nel mentre,



mentre la neve coprirà le distese



e le sorgenti indosseranno il ghiaccio,



nella notte polare priva di luce



sarai l'aurora per tutti i miei sensi.





Oltre qualsiasi inverno.





Prometti che mi scalderai ancora,



come se fossi primavera.
















ANNAMARIA GALLO 

L'ULIVO


Poesia di Annamaria Gallo


Musica originale di Mariangela Ungaro "Il rumore del sole"






Giunsi, come viandante errante
nella notte di un tempo
che non conosceva
pace interiore.

Il mio sguardo, si fermò
verso verdeggianti ombre
colline a me tanto care
di fanciullesca memoria.

Quanti anni erano trascorsi
ed il mio pensiero
spesso e sovente
lì, rivolto,
alla mia terra,
al mio mare e alla sua frizzicante
brezza del mattino,
alla rosea luce, di un sole,
che sorge puntuale,
all’ alba, preludio di un giorno,
che fa capolino sul tutto.

Giunsi, viandante errante e sconosciuta
nella terra dei miei Avi
ed ivi, infine,
piantai il mio ulivo.















DANIELA PORCELLI 

OCCHI BRAMOSI DI VITA


Poesia di Daniela Porcelli 


Arrangiamento per orchestra tratto da "Schindler's list" a cura di Mariangela Ungaro







Ho visitato il campo di Auschwitz



Ed ho immaginato di udire



Parole sporche,



come pietre scagliate



con violenza nell’acqua.





Ho visto esseri trasformati,



corpi denudati,



scheletrici, denutriti



ma con occhi



ancor bramosi di vita,



senza più il calore



di un sorriso.





Denti digrignati



Da una rabbia infinita,



anime sfiancate



da un’attesa senza tregua,



esseri a cui tutto è negato,



anche ogni forma



di Speranza,



in un’eterna lotta



tra la vita e la morte



in cui alla fine



per crudeltà dell’uomo



sempre la morte ha vinto



l’impari duello



con la vita.








PASQUALINA DI BLASIO

FOGLIE D'AUTUNNO


Arrangiamento musicale di M.Ungaro Poesia di Pasqualina Di Blasio, 


"Foglie D'Autunno" 


tratto dalla silloge "Approdi al cappello giullare"


 Musica di F.Mendelssohn, arrangiamento per piccola orchestra a cura di Mariangela Ungaro






Crepitano sotto i miei piedi



Come fiammelle accese



Le foglie raccolte a tappeto



Da un mulinello scherzoso



Che gonfia a più non posso le gote





Quasi un girotondo concluso.



Acchiapparella senza segreti



Un volteggio a pochi metri nell’aria



Un duetto gioioso e ammiccante



“Se ti prendo ti tocca baciarmi”.





Ero capitata per caso nel parco



In un bel gioco di squadra



in cui le figlie d’autunno



non è pena un giro nel vuoto



e finire e giacere sopra la terra.




sabato 11 febbraio 2017

IL CIELO SOPRA BERLINO

TRATTO DA "CINEMA D'ASCOLTO" di Mariangela Ungaro 









Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) è un film del 1987 diretto da Wim Wenders. Le poesie di Rainer Maria Rilke hanno parzialmente ispirato il film: Wenders ha dichiarato che gli angeli vivono nelle poesie di Rilke. Il regista ha chiesto la collaborazione di Peter Handke per scrivere molti dei dialoghi, e nel film ricorre spesso la poesia Lied vom Kindsein. Presentato in concorso al 40º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore regia. Ha avuto un sequel, Così lontano così vicino (1993), ed un remake statunitense, City of Angels - La città degli angeli (1998).
Musiche di Jürgen Knieper. I brevi titoli di coda hanno un accompagnamento affidato al violoncello con tutti i gestualismi tipici del genere musicale classico colto contemporaneo. Le scene che seguono non le indagherei tanto dal punto di visto musicale, tanto invece come “verbo”, comunicazione: la parola, i discorsi che si sovrappongono, le voci di tutti i personaggi che scorrono e si sentono senza soluzione di continuità ci danno una sensazione di apparente confusione, si tratta di un uso molto particolare della comunicazione verbale o non verbale (molte delle voci sono pensieri personali dei personaggi ripresi) quindi la musica che qui è un pedale sonoro fermo, non può davvero far altro che “tacere” nel suo suono fisso, corale, armonizzato con micro movimenti, come fosse una fascia sonora appena cangiante.
I due angeli possono solo guardare, osservare e testimoniare ciò che succede nel mondo: questo genera frustrazione soprattutto in uno dei due, Damiel, che vorrebbe invece vivere davvero. La musica che accompagna la scena è musicata con violoncello e quartetto d’archi molto cameristico, appena percepito, triste e mesto, con movimenti lenti a maglie larghe. Serve a conferire fissità e dramma, e dramma proprio per la sua fissità, come la condizione in cui sono i due angeli…solo guardare, non esperire e vivere.
Nella biblioteca sentiamo le fasce fisse con coro e voci soliste molto drammatiche, mentre i due angeli osservano gli astanti e ascoltano le loro voci mentre con la mente leggono e imparano dai libri. La musica conferisce solennità. 
Lo scrittore anziano invece è musicato col violino solista, una voce che sembra uscita da un film di campi di concentramento: un vecchio con voce spezzata, il suo racconto si lega ancora al profondo. Sta morendo.
In metropolitana uno degli angeli si avvicina ad un uomo completamente distrutto, abbandonato da tutti: l’angelo gli siede vicino, (l’arpa vibra su un glissando portatore di grande felicità), assolutamente non visto, e l’uomo percepisce un senso di pace, sa che ora, per qualche motivo a lui sconosciuto, potrà risollevarsi e farcela, se lo vuole davvero. Emblematico che proprio mentre l’uomo affranto decide il risveglio del suo cuore, si senta la canzoncina di un bimbo (probabilmente trattasi di musica in, dal momento che poco prima era stato ripreso un bambino sulle ginocchia del padre addormentato, magari è quel piccolo a canticchiare… “Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai”, l’infanzia è a chiave della salvezza).
Mentre osserva un bimbo sul marciapiede, che non trova il coraggio di chiedere ai compagni di giocare, l’angelo Damiel viene attirato dalla musica suonata da una orchestrina da caffè francese con fisarmonica: il suono proviene da un circo. Sul trapezio, una ballerina con ali d’angelo. Si lamenta delle ali, degne di una vecchia gallina, e della musica: “Sembra di stare al ballo dei pompieri!” canzona lei i musicisti. Il circo si sta per chiudere, è fallito. La donna sente molto il dolore del fallimento.
Durante tutto il successivo soliloquio mentale della donna (di cui udiamo la voce, perché guardiamo e ascoltiamo come l’angelo presente, ma sappiamo che la donna sta parlando solo nella sua mente), la musica è un valzer straniato, andamento classico in tre col primo battito cadenzato e ritmicamente in evidenza; spicca una voce di donna solista con riverbero e sovrapposizione spesso asincronica, come fosse una coda d’eco, di voce maschile; armonia e melodia sembrano proprio fare due cose diverse, non c’è accordo tra le parti: nel soliloquio della donna si può percepire una certa schizofrenia di sentimenti contrastanti e poco chiari, eppure intrisi di vera poesia e autentica profondità. Solo dopo un’ora e più di film ho capito che si trattava di un pezzo di Nick Cave: la donna infatti è una sua fan e proprio al suo concerto lei incontrerà l’angelo ormai incarnato. E il pezzo è lo stesso, ma si vede la locandina, il cantante e l’esibizione live.
La scena successiva: l’angelo assiste gli ultimi momenti di un uomo morente. Mentre udiamo i rumori di scena, le macchine che passano incuranti sull’asfalto, l’uomo morente pensa alle futilità della vita, ricorda qualche caro, vorrebbe chiedere scusa…Poi le sue parole si fondono, si sincronizzano con quelle che l’angelo sta recitando per la sua anima. Si unisce la musica al violoncello, cui si aggiungono altri strumenti da ensemble da camera, quando l’angelo lascia il moribondo alle cure di un passante buon Samaritano.
La musica procede accompagnando le scene successive, quando incontriamo nuovamente il vecchio poeta, mentre il violino solista grida il suo dolore, con arpa (che vorrebbe imitare la cetra degli Aedi) in contrappunto saltuario: “Nessun è ancora riuscito a intonare un’epos di pace. Che cos’ha la pace per non entusiasmare a lungo, e che nemmeno si presta al racconto? Devo darmi per vinto? Se rinuncio, l’umanità perderà il suo cantore, e perderà l’infanzia”.
"Dove sono i miei eroi... i duri di comprendonio ... Chiama oh Musa colui che da angelo del racconto è diventato suonatore di organetto anonimo o deriso, alle soglie della terra di nessuno".
Al disagio esistenziale del vecchio scrittore, si contrappone il discorso pratico (e per certi versi attualissimo) dell’angelo Cassiel che ha notato un crearsi di monadi umane che non comunicano più. E’ accompagnato dal quartetto d’archi.
Riascoltiamo le fasce sonore fisse quando ci ritroviamo sul set di un film dedicato al nazismo. La musica cambia nel violoncello tematico, scuro e drammatico quando l’attore di punta riflette sulle sue miserie personali. Sembra che le fasce sonorizzino le scene di massa acritica, mentre le miserie private sono affidate al profondo violoncello, associato alla morte.
La musica che accompagna il giovane suicida è un motivetto stranamente vuoto e leggero, a-problematico per synth e voce femminile appena accennata, senza testo, solo la vocale A sussurrata. Il ragazzo sta per compiere il gesto estremo, mentre ragiona nella mente, i passanti gridano, ma lui è sereno. L’angelo lo accompagna, gli sta vicino ma non può interagire con lui, né fermarlo.
Torniamo a sentire la convulsa musica per archi con pizzicati ed altri gesti tratti dalla musica colta contemporanea, mentre vediamo le scene concitate della città di Berlino che ignora i deboli, in un turbine veloce e acritico di vite e di sopravvivenza.
Tutta la scena dello spettacolo circense della ballerina trapezista è accompagnato da musica in, che ricorda i film di 007, suonata dal vivo. Sax vellutati e seducenti imitano le movenze fluide della donna, mentre la batteria e il piatto sospeso accentuano la fine delle diverse figure, dando il cenno all’applauso da parte del pubblico. Ritroviamo la donna che canta un po’ brilla insieme ad un circense a voce viva una canzone, poi in un locale dove si sta esibendo Cave e la sua band, in un pezzo davvero triste, rock lentissimo, sound anni ’70.
L’angelo decide di vivere come un umano: le sue impronte si vedono, il mondo appare a colori e un accordo orchestrale leggero e maggiore illumina il volto dell’uomo ora.
L’uomo incontra finalmente la donna amata: lei gli parla come sincera poetessa, è profonda, primordiale. Lui annuisce. Sono Amore allo stato puro. Li accompagna il quartetto d’archi e le parti più enigmatiche e profonde sono affidate alla voce del violoncello, come se lo strumento ne potesse approfondire il senso.
L’ultima scena è affidata al vecchio scrittore, che ha ritrovato la forza: il mondo ha bisogno di lui e delle sue storie, ora più che mai. Parole intelleggibili, canti di donne, coro fisso e fasce di pedale immote sonorizzano i titoli di coda.